Un po’ di storia

Arte Marziale significa in maniera estesa, Arte della Guerra. L’aggettivo Marziale deriva da Marte, Dio Romano della guerra. Questo è un primo indizio del fatto che, seppur nel luogo comune nella cinematografia siamo portati a ritenere le arti marziali una disciplina di origine orientale, questa non è che una frettolosa ed ingiustificata semplificazione. Da sempre, l’Europa, centro di cultura ed innovazione ma anche di potere, ha visto susseguirsi tribù prima, regni poi, infine Imperi. La necessità di sviluppare metodi di combattimento efficaci si è rivelata una necessità storica. Oggi parliamo ad esempio di MMA, associandole agli USA, ma i romani avevano già il cruento pancrazio! Semmai il rammarico è quello di aver perso buona parte del bagaglio culturale delle Arti Marziali Europee. L’introduzione della polvere da sparo, con la sua rapida ascesa, ha permesso una prima convivenza tra l’esperienza di combattimento storica con il nuovo strumento offensivo (si pensi, ad esempio, alla baionetta inastata sui primi fucili ad avancarica) poi, gradualmente, con l’aumento della qualità delle armi da fuoco, la formazione del “combattente” è stata semplificata, rimuovendo la formazione nel corpo a corpo, mano mano che le gittate aumentavano. Questo cambio epocale, ha reso quasi obsoleta l’esperienza maturata nei secoli precedenti, venendo sempre meno la possibilità del combattimento ravvicinato, il nostro comune sapere è sbiadito nei decenni, trovando posto, settorizzato, solo in trattati di scherma, nella boxe occidentale e nella lotta olimpica, ma perdendo quel contesto di omogeneità che ne costituiva la ricchezza. In Oriente questo è avvenuto successivamente e con tempi più dilatati, favorito dalla lentezza di adeguamento degli eserciti locali alle metodologie di guerra dei colonizzatori\invasori (inglesi e francesi su tutti),tanto da permettere alle popolazioni locali di conservare più a lungo e più prossimo ai tempi moderni, il loro meraviglioso patrimonio di “cultura del combattimento”.

Muay Thai

Muay Thai significa sostanzialmente “Lotta thailandese” oppure “Lotta del Popolo Thailandese”. Un’etichetta un po’ generalista che identifica la vastissima esperienza marziale del Popolo del Siam. Le diciture “Boxe thailandese” o “Thai boxe” sono sinonimi usati in occidente, ma identificano sempre e solo la Muay Thai. Il Siam, con una storia ricca e coinvolgente, è stato un paese decisamente belligerante se non per vocazione, quantomeno per necessità. L’area dell’Indocina è sempre stata divisa in 4/6 Regni, popolati da etnie diverse in continua lotta tra loro. Questo ha reso necessario maturare un sistema di combattimento necessariamente efficace. Il popolo Thai, un’etnia di origine indiana, è emerso tra i vicini come quello militarmente più forte anche in virtù della propria arte marziale nazionale. Oggi, quell’esperienza, alleggerita dei colpi più cruenti e declinata in ottica sportiva è ciò che chiamiamo Muay Thai. Nonostante le necessarie rivisitazioni, continua a mantenere al suo interno l’essenza primaria della sua vocazione guerresca. lo stile comprende colpi con tutte le parti del corpo: pugni, calci, ginocchiate e le celeberrime gomitate. Uno stile completo, complesso e dirompente. Parte integrante del combattimento è quello che viene chiamato “clinch”, la condizione nella quale i due lottatori “legano” tra loro cercando di sbilanciarsi o per aprire lo spazio per un colpo. Sostanzialmente, quella condizione in cui nella boxe occidentale, l’arbitro interviene per separare i contendenti, qui è parte integrante del combattimento a strettissima misura. Oggi, sebbene negli ultimi anni abbia ricevuto una ulteriore affinazione, che l’ha vocata ancora di più alla competizione sportiva, resta uno stile di combattimento meravigliosamente efficace, dinamico, esplosivo ed elegante. Il percorso formativo nella Muay Thai, favorisce lo sviluppo dell’equilibrio, della gestione del tempo e degli spazi, della concentrazione. Da un punto di vista fisico stimola uno sviluppo armonioso e solido, bilanciato tra parte alta e bassa della fisionomia.

Kickboxing

La storia della kickboxing è fatta di eventi storici stratificati. Mentre negli Stati Uniti, che nel dopoguerra hanno visto giungere immigrati orientali che hanno distribuito il sapere del Kung Fu dalla Cina e del karate dal Giappone (o meglio, da Okinawa), si cercava una modalità per far confrontare atleti provenienti da stili diversi, il Giappone, affascinato dalla boxe thailandese, cercava di comprenderla e di renderla fruibile ad un pubblico più esteso. Sono nati percorsi paralleli con diversi punti di contatto. Negli anni ’70 gli Stati Uniti hanno sperimentato forme di combattimento prossime al karate, ma che impiegavano protezioni mutuate dalla boxe occidentale ed un’impostazione di confronto a “round”. In Giappone, il percorso è stato diverso: nella difficoltà di competere con gli atleti thailandesi, troppo forti nel loro stile nazionale, si sceglieva di abbassare l’asticella tecnica in favore dello spettacolo e quindi si “impoveriva” la Muay Thai vietandone l’arma più pericolosa: le gomitate. Nasceva quindi uno stile meno impegnativo e cruento ma più adatto ai praticanti giapponesi ed agli spettatori, che, con la loro partecipazione sostenevano i primissimi embrioni di quelli che oggi conosciamo come “Fighting networks”.

Queste due correnti si sono incrociate negli anni e mentre negli Stati Uniti si affermava il “full contact karate”, il Giappone sperimentava una boxe thailandese “light”, senza gomitate. Nel Vecchio Continente, storico territorio di export di tendenze USA, il full contact attecchiva bene in Olanda, che negli anni Ottanta ha tracciato il solco, regalandoci atleti spaventosi come Dekker, Hoost, Aerts e Manaart.

Gli stili, le idee, gli esperimenti – anche attraverso una forte promotion internazionale – da tanti rivoli locali sono confluiti nei primi anni 2000 in uno stile unico, finalmente universamente codificato, che ha preso il nome di “Kickboxing K1”, che fa propria la storia di questo sviluppo condensando in uno stile ormai maturo, standardizzato e dai contenuti tecnici notevoli, quella che comunemente viene chiamata oggi kickboxing. Uno metodo che richiede attenzione, studio, reattività. La boxe resta fondamentale, ma la sua sinergia con i calci è ora finalmente completa. È nato così uno stile con una propria dignità marcata, cementato nei dettagli dalle esperienze internazionali di campioni come Buakaw, Petrosyan, Souwer, LeBanner e Verhoeven su tutti, con un seguito internazionale semplicemente enorme.